
Perdono o Rancore?
Per molti la risposta sembra addirittura quasi ovvia, il Perdono.
Per tanti è sottile la linea che divide l’egoismo dall’amor proprio.
L’egoista è colui il quale altro non vede se non il proprio benessere, mentre colui che ama se stesso beneficia dell’amore che viene lui concesso da parte di tutti coloro i quali da lui sono stati amati.
Come potrebbe un essere sostenerne un altro se esso stesso non è in perfetto equilibrio?
Ecco perché resta fondamentale raggiungere una propria felicità per essere in grado di aiutare gli altri a conseguirla.
Con il sacrificio di se stessi si estinguono forse le proprie colpe, quelle che personalmente ci si è imposti, ma questo non ha nulla a che fare con l’amor proprio, nè con quello altrui.
Amarsi significa desiderare il meglio per se stessi e di conseguenza per gli altri che sono visti come naturali estensioni della propria felicità.
Ecco perché il perdono dei propri errori risulta un passo grandioso per dedicarsi attivamente al trascendimento dei propri limiti.
Con l’accettazione non ci si rassegna, si comincia ad affrontare l’evidenza per porsi nell’assetto più costruttivo.
Ecco che un gesto di apparente rassegnazione appare del tutto coraggioso…
Ecco che un radicato dogma proprio ora può essere estirpato…
Ecco che ora si riscopre in se stessi ciò che conta davvero per tutti, l’amore… altri invece consciamente scelgono il Rancore.
Se vi aspettate che tenderò a suggerire il Perdono come migliore alternativa, allora vi stupirò.
Propongo un’analisi dei due stati d’animo derivanti dalla scelta di uno e dell’altro.
Ognuno di noi vive la propria quotidianità affrontando persone con le quali si ritrova a dover gestire problematiche di ogni sorta, accettazione forzata, buon viso e cattivo gioco, tolleranza obbligata, repressione emozionale convenzionale, senso di colpa, senso di rabbia, senso di ripugnanza, riluttanza, rancore, timore, inferiorità, inadeguatezza, disagio e molto altro.
Sono realtà che spesso durante un periodo negativo subiamo passivamente senza attuare un vero e proprio schema comportamentale organizzato sulla base di una prospettiva diversa da quella usuale troppo spesso fallimentare e inconcludente a lungo termine.
Di fatto, eliminato un problema ne sussiste un altro. Se si ascoltano le lamentele di altre persone amiche, non a caso si potranno udire storie simili alle proprie. Si constata quindi che si vive in un mondo ostile, popolato da persone egoiste, false, opportuniste, meschine, senza scrupoli, maleducate, bugiarde, maligne ecc…
Si procede alla contemplazione di tutto questo dramma, enfatizzandolo e nutrendolo fedelmente quotidianamente attraverso il racconto delle proprie sventure attendendo il turno dell’interlocutore che a sua volta debutterà con i propri simili drammi.
Sembra un processo perfetto per la sussistenza vitale di tutti questi problemi ai quali si permette di imperare nella vita di praticamente tutte le persone.
Perfetto questo processo perché chi non cascherebbe nel convincersi che tutto ciò sia inevitabile dato il fatto che queste realtà davvero si manifestano. Le persone davvero ci fanno torti, è evidente e indiscusso.
Ed è vero. E quindi, il destino nostro parrebbe quello di accettare l’evidenza, manifestandola come sfogo in cerca di conforto verso chi può ascoltarci.
Sembra perfettamente convincente, invece io credo ci sia una grossa discrepanza e porterò il lettore ad analizzarla.
Questo apparente quadro di vita sociale ha un difetto di stabilità, riscontrabile nella scelta della prospettiva. Quando questa cambia, anche il quadro cambia.
Avete presente quei dipinti in cui la persona ritratta, da qualsiasi parte la si osservi, pare continui inesorabilmente ad osservarci? Sembra che possa rivolgerci il suo sguardo sia che ci poniamo alla sua estrema destra che alla sua estrema sinistra.
Ecco, quello è il riflesso perfetto di uno sguardo immortalato ma vivo al contempo, poiché in grado di cangiare in base alla nostra azione, ovvero, risponde attivamente sempre nello stesso modo, ci riconsegna il suo sguardo.
Cambia la prospettiva, ma il risultato non cambia.
Ma questo è solo l’aspetto superficiale della questione.
Cosa succede se osserviamo la profondità di questa realtà?
Vediamola insieme.
È lo stato d’animo che noi proviamo nel momento dell’osservazione che ci mostra l’instabilità di ciò che pare ormai completato.
Proprio la nostra frequenza emozionale è in grado di plasmare la nostra visione.
Allora se ci sentiamo a nostro agio ed in perfetto equilibrio quello sguardo parrà sorriderci, diversamente se ci sentiamo a disagio ed in difetto, quello sguardo parrà ammonirci.
Cambia la prospettiva di osservazione interiore e cambia anche il risultato.
Questo è il passaggio cardine della questione.
Ecco perché si afferma che la realtà è soggettiva.
Forse però non si insiste abbastanza sulla forza che la determina.
La prospettiva di osservazione.
Allora, allo stesso modo, quando subiamo un torto, somatizzeremo nella misura in cui crederemo che quel torto sia inferto da qualcuno che in qualche modo riesce o meno a farci sentire in difetto.
Ora sarà evidente quanto ciò che appare in superficie sia del tutto relativo e soggettivo.
Ciò che ne determina il significato nasce dal profondo e dalla prospettiva che si è in grado di scegliere attraverso il proprio bagaglio di consapevolezza raggiunto.
Se si analizza la questione nella sua profondità, sarà semplice comprendere che chi ferisce in realtà è già ferito. Diventa così più difficile sentirsi in difetto quando chi ci indica è il primo a deficiare.
E’ quindi una questione di prospettive di osservazione della problematica a determinare l’emozione positiva o negativa nei confronti di un’azione ricevuta, indipendentemente dalla natura di essa stessa.
Mi è capitato di osservare che spesso chi offende è proprio colui che si sente offeso, che chi aggredisce è colui che ha paura, che chi denigra è colui che percepisce la propria inferiorità e infanga gli altri per parificarli a se stesso, che chi mente e calunnia è colui che prova inadeguatezza ed invidia, che chi colpisce è colui che non trova la risorsa per il problema di base.
Tutti questi “colui” sono coloro i quali dovrebbero essere i primi ad essere compatiti, proprio i nostri nemici, gli esseri più deboli in realtà, gli esseri più bisognosi della nostra comprensione.
Combattere un debole rende deboli, poiché difendersi da un colpo basso sottintende abbassare lo scudo e quand’anche sarà vittoria se non abbiamo inciampato prima nello stare gobbi e ricurvi, ciò che proveremo sarà esattamente una magra consolazione, malgrado ciò, grande per l’ego, ma povera per lo spirito.
La fregatura è che chi dimora nel primo stato pur finita la guerra non avrà la pace e senza pace lo spirito combatte fino quando l’ego non porge la sua testa al sopraggiungere di un evento di vita per lui insostenibile, poiché questa è vita e chi ha vissuto, di questo ne è consapevole.
Forse ora sarà più curioso comprendere come si può arrivare a compassione verso il nemico.
Semplicemente ricordandosi di vederlo per quello che è.
Un gentile e generoso servizio attraverso il quale ci è donata la possibilità di esercitare l’arma più potente, l’amore.
La colossale vittoria sta nel dimostrarsi capace di tenere in mano uno strumento di questo calibro senza perderne la presa. Quando ci riusciamo, questo strumento ci permette di vedere attraverso il suo binocolo la vera forma del nemico.
Allora cominceremo a notare la sua paura, la sua insicurezza, la sua inadeguatezza, il suo dolore.
Questa presa di coscienza ci permetterà di mirare il nostro colpo all’organo vitale, proprio il cuore che non a caso è la sede dell’amore e quando questo si raffredda, non c’è niente di più doloroso e purificante di un proiettile incandescente.
Si spara dritto li e lo si fa con una parola, con uno sguardo, con un sorriso che nasce spontaneo in tutti i casi, nel momento in cui il nemico è stato “visto” per quello che in realtà è.
Se il nostro cuore è potenziato e pronto a sostenere la compassione, ciò che creerà sarà di proporzione inqualificabile.
Vedremo il nemico cadere nella sua grandezza e sentiremo il nostro cuore alleggerirsi di ciò che doveva essere liberato.
Di fatto, non c’è nulla di premeditato, né di pensato al momento.
Raggiunto lo stato di compassione, quindi di visione liberata, ciò che succede è del tutto incontrollato.
Fluisce senza resistenze di nessuna sorta e la nostra forza interiore pensa nell’attimo a tutto ciò che una mente non potrebbe nemmeno concepire nel tempo.
Nell’aspetto più profondo e più importante, il saper rispondere ad un insulto con un semplice “non sono d’accordo”, equivale a fermare con un dito un colpo di spada per infonderne un altro capace di piegare entrambe le gambe di questo nemico.
Continuare con un sentito “mi dispiace per ciò che ti suscito” equivale a confinarlo in terra e proseguire chiedendo “scusami per quanto successo” corrisponde a finirlo.
L’amore come vedete, non è prettamente la forza bonaria che tutto perdona, è qualcosa di molto più complesso che col tempo si impara a riconoscere ed ad amare.
Vedere le cose per quello che sono e agire in concreto per ciò che davvero si sente, significa vivere con il cuore e da ciò ne consegue l’assenza di rammarico, di risentimento, di inappagatezza, di tormento, di angoscia, di ansia e di inadeguatezza in genere.
L’amore credo sia la forza più potente al mondo e il male mondano ha permesso che di questa forza ne emergesse un’immagine distorta in grado di far intendere l’amore come una contromisura all’odio classificata fallace, buona solo in alcune occasioni, spesso scomoda e compromettente, sconveniente con alcune persone.
Alcuni credono ancor oggi che l’amore sia fonte di debolezza.
Ebbene, geniale è stata l’opera del male terreno che ben è riuscito a vestire il guerriero più potente di stracci grossolani ed ingannevoli riuscendo a convincere che il cavaliere del cavallo della vendetta fosse in verità il più coraggioso quando di fatto si dimostra per eccellenza lo sprovveduto in virtù atte al confronto volto alla vittoria finale.
In compenso, questo male terreno pare abbia vestito per bene se stesso di ogni stoffa affinché mai apparisse l’essenza sua vera, la debolezza.
Ma in verità, chiunque potrebbe decidere di voler vedere la verità, chiunque ne abbia trovato il coraggio.
Eppure, io dico che il rancore non sia un errore.
Credo infatti sia necessario per molte persone farne un’intensa esperienza affinché possano prendere totalmente atto del significato oscuro che ne consegue.
Quindi il male è per me un servizievole amico in grado di donare il potere più grande, la consapevolezza attraverso il dolore che ci insegna ad ascoltare per liberarci proprio dalla sua stessa morsa.
Così, proprio come noi sputiamo via il nocciolo di una carnosa ciliegia dopo averne gustato la polpa, così il male sputa via la nostra essenza dopo averla spogliata di tutta la sua emozione negativa.
Quello è il momento in cui una persona si sente “sotto terra” e sempre come un seme, rinascerà se il cielo innaffierà la terra.
Da quel seme nascerà un nuovo fiore, ma se il sole seccherà il terreno, quel seme giacerà in solitudine nell’oscurità.
Eppure per far piovere basterebbe saper piangere di dolore solo una volta imparato ad evitare l’aridità che il rancore procura con il suo bruciare.
E’ quindi necessario il rancore, salutare il perdono, ottimale ciò che il nostro cuore in accordo con le nostre possibilità ci suggerisce di scegliere.
Ci sono piani di coscienza nei quali non esiste il giusto e lo sbagliato, in quei piani esiste solo l’intento di cui si riveste l’azione alla quale si è data la vita, indipendentemente dall’esito dell’azione stessa.
Armoniosa bellezza è l’atto rivestito di amore, mosso nell’intento culminante con l’essenza sua stessa.
Il rancore pare essere lo schiavo fedele di chi ha già perso qualcosa che non potrà mai più riavere.
Il perdono pare essere il re che svestito del suo mantello, dona al vinto proprio il primo posto per aver superato perfino se stesso.
Questione di prospettive si, ma soprattutto, questione di consapevolezza, quello strumento in grado di mostrare cosa si cela sotto il velo ingannevole di un mondo che in realtà è molto diverso dall’apparenza.
Provate a reagire con l’amore, vedrete quanta paura si farà largo nei vostri cuori.
Vi verrà richiesto uno scudo, ingenti fonti di guarigione necessarie per le reazioni dell’odio che susciterete, coraggio per la perseveranza che crollerà a vista d’occhio quando vi ritroverete soli e diversi in mezzo a tanti.
Capirete presto che l’amore è un’arma molto pesante da maneggiare e che in fretta vi stancherà il corpo, ovvero l’ego.
Giungerà la potente tentazione a sussurrarvi di ritornare sui vostri passi, mostrandovi la perfetta logicità di quanto dovrebbe essere fatto a coloro i quali vi calpestano.
Vi verrà in realtà proposto di potenziarli nel profondo, mentre avrete la netta impressione di averli confinati.
Ma tutto ciò sarò falso e a farne le spese sarà il cuore.
Chi persevererà con fiducia, anche quando tutto gli sembrerà perso, l’amore lo rafforzerà e gli fornirà la giusta spinta per proseguire in un viaggio senza ritorno.
Ma le parole non possono fare questo lavoro per le persone.
E’ necessario che ogni singolo individuo preghi di essere messo difronte al male per avere l’occasione di rispondere con la forza contraria, l’unica in grado di trascendere.
Quando l’entusiasmo nasce nel cuore, la vittoria ha già risposto con il suo avvento e tutto nasce da sé, senza che effettivamente nulla venga fatto più di quanto ciò che si sente di lasciar fluire venga posto in essere.
E credo non ci sia nulla da fare, perché il tempo, in questa terra è l’unica vera utopia in grado di stabilire il momento che ci vedrà conquistare quanto in noi stessi è sempre esistito.
Ecco perché rancore o perdono portano entrambi a ciò di cui si ha davvero bisogno, amore.



